Diversi casi legali hanno portato in tribunale dispositivi connessi che potevano aver “sentito” cose interessanti per le indagini. Ma quali sono le questioni in gioco? Se ne è discusso a re:publica a Berlino.

Berlino — Tra gli esperti e gli addetti ai lavori, l’Internet of Things (IoT) è spesso soprannominata The Internet of Shit per la sua troppo spesso certificata non-sicurezza tecnica e la altrettanto frequente follia di certe sue estremizzazioni. Orsacchiotti e pettini connessi a Internet per motivi spesso oscuri — tranne, forse, l’hype — possono infatti essere hackerati e violati con facilità e, dato l’accesso esteso che hanno alla sfera privata delle nostre vite, portare in superficie dati molto sensibili.

Gli assistenti digitali, come Google Home o Amazon Echo, inoltre, hanno un accesso quasi totale a dati personali in formato audio, dato che con i loro sensori sono in grado di captare le registrazioni di quanto avviene attorno a loro. Dato che questo mercato è in crescita, nelle case entreranno sempre più dispositivi connessi e potenzialmente invasivi della privacy di chi li usa.

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