La bozza della strategia nazionale del Mise ha obiettivi vaghi e non coglie l’urgenza della trasformazione. Ma si può contribuire a migliorarla

Di Giulio Coraggio

Il ministero dello Sviluppo economico ha pubblicato la bozza di Strategia nazionale per l’intelligenza artificiale (Ai), ora soggetta a consultazione, che fa sorgere una serie di domande sull’impegno del governo sul futuro del nostro Paese. C’è una famosa citazione di Andrew Ng, professore all’Università di Stanford e uno dei più grandi esperti di intelligenza artificiale al mondo con esperienze lavorative da Google e Baidu, secondo cui “l’intelligenza artificiale è la nuova elettricità”.

La situazione mondiale

Proprio come l’elettricità ha trasformato quasi tutto 100 anni fa, oggi non sussiste alcun settore che non sarà trasformato dall’intelligenza artificiale nei prossimi anni. Paesi come la Cina e gli Stati Uniti hanno compreso le potenzialità di questa tecnologia e hanno indicato l’obiettivo di diventare leader mondiali nel settore, con previsioni di spesa che arrivano a ben 150 miliardi di dollari entro il 2030 nel caso della Cina. Ma, per citare Paesi più vicino al nostro, la Germania ha già lanciato nel 2018 un piano denominato “AI made in Germany”, che prevede investimenti per 3 miliardi di euro nella ricerca e sviluppo di tecnologie basate sull’intelligenza artificiale.

Inoltre, la Commissione europea ha lanciato un piano coordinato sull’intelligenza artificiale, che vuole favorire un coordinamento tra le iniziative dei vari Stati dell’Unione europea nel settore, con l’ambizione di raggiungere almeno 20 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati nella ricerca e nell’innovazione nel campo dell’Ai entro la fine del 2020, con successivi investimenti annui di uguale importo.

I propositi in Italia

Questi importi sembrano enormi se paragonati al “circa 1 miliardo di euro” che la bozza di Strategia nazionale per l’intelligenza artificiale prevede come investimenti pubblici entro il 2025. A parte l’importo alquanto limitato se paragonato agli altri Paesi con cui l’Italia vuole competere, si parla di investimenti per preparare l’Italia al futuro, ma l’obiettivo di spesa ha come target il 2025, quando è probabile che il futuro sarà già arrivato.

La bozza di Strategia nazionale fa riferimento a una visione di lungo periodo per uno sviluppo sostenibile del nostro Paese. Tuttavia, l’urgenza di un intervento per favorire la crescita di tecnologie basate sull’Ai è ora e c’è la necessità di mettere da parte elargizioni ai cittadini di breve termine per lavorare sul loro futuro. Bisogna creare una cultura della trasformazione digitale e dell’esigenza di preparare il Paese e, i suoi cittadini in primis, al cambiamento.

Il Politecnico di Milano stima che potrebbero essereautomatizzati 3,6 milioni di posti di lavoro nei prossimi 15 anni. Ma, nello stesso periodo, potrebbe registrarsi un disavanzo di 4,7 milioni di posti a causa della riduzione dell’offerta di lavoro (principalmente per questioni demografiche, ipotizzando una continuità nei saldi migratori) e l’incremento della domanda. Il problema è che il nostro Paese potrebbe non essere pronto a questo cambiamento delle competenze lavorative richieste dal mercato.

Cosa prevede il piano

Il piano prevede – in modo alquanto generico – un aumento degli investimenti nell’istruzione scolastica e universitaria sull’Ai. Però, da una parte, questa iniziativa si concilia difficilmente con l’attuale situazione delle nostre scuole e i vociferati tagli all’istruzione e dall’altra non tiene conto che il vero problema del nostro Paese è che l’attuale popolazione lavorativa è vecchia e per sua natura è poco incline al cambiamento.

Siamo il Paese in cui c’è ancora il mito del posto fisso, e potremmo trovarci in pochi anni con le tecnologie dell’Ai che possono automatizzare milioni di posti di lavoro e con lavoratori con ancora almeno 10/15 anni di attività lavorativa davanti a loro, ma senza le competenze per poter affrontare i lavori del futuro. Come gli attuali lavoratori possono compensare queste carenze con i “corsi online divulgativi e professionalizzanti sull’Ai” richiamati nella bozza di strategia nazionale?

Pubblico e privato

Rispetto ai cambiamenti normativi che il piano prevede di adottare, le misure relative ai cosidetti open data, per esempio alla condivisione dei dati per massimizzarne lo sfruttamento da parte delle imprese nell’interesse della collettività, sono meritevoli. La complessità sarà la loro attuazione, soprattutto nei rapporti con i privati. Ho partecipato alla redazione lanormativa sugli open data di una delle nazioni che vogliono diventare più “smart” e la maggiore complessità sta nel raggiungere il giusto bilanciamento tra interessi pubblici e privati.

A parte questa misura, gli altri cambiamenti normativi sono ridotti alla possibilità di adottare un regulatory sandbox, che è una misura già adottata per il fintech e di sostenere le linee guida europee per un’Ai etica.

Come può essere incentivato l’utilizzo delle tecnologie basate sull’Ai in quadro normativo che è ancora notevolmente incerto sull’argomento? Sarebbe stato meglio prevedere l’impegno da parte del governo di adottare un regime normativo su, per esempio, la responsabilità derivante da malfunzionamenti dei sistemi di intelligenza artificiale, le tipologie di consenso degli individui necessarie per il funzionamento dell’Ai e la proprietà delle opere create da sistemi di intelligenza artificiale.

La bozza di Strategia nazionale per l’intelligenza artificiale pubblicata dal Mise ha certamente dei contenuti positivi. Spero che tutto il lavoro eseguito fino a ora non verrà vanificato dai cambiamenti al governo. Tuttavia, se l’Italia vuole scommettere sull’Ai per il proprio futuro ha bisogno di un approccio più coraggioso. Parteciperò alla consultazione tramite IoTItaly, l’associazione per la crescita dell’internet of things in Italia, e spero di poter dare il mio contributo alla strategia del nostro Paese.