Sfruttare le moderne tecnologie per inserire informazioni negli oggetti, connetterli con noi e fra loro è un modo di estendere la nostra concettualizzazione mentale.

Fa parte ormai del dibattito quotidiano il tema dell’IOT (Internet of Things) quale uno dei nuovi driver nell’ambito della rivoluzione legata all’Industry 4.0.

Se ne parla come di qualcosa di estremamente innovativo, che cambierà il modo di vivere delle persone, e al quale tutti dovremo adattarci. Questo è indubbiamente vero per le aziende, creature artificiali con limitate o nulle capacità cognitive, molto rigide e conservative, come del resto molte delle manifestazioni sociali umane.

Ma siamo sicuri che questo sia vero anche per le persone? Io penso che non sia così, come non è stato così, per esempio, per la rapida e per certi versi inaspettata diffusione di massa degli smartphone, e cerco di spiegarlo partendo da come funzionano certi aspetti della mente umana.

Il metodo di comunicazione umano nativo, che sta alla base di tutti i metodi successivi, è costituito dal linguaggio. Di per sé si tratta di un metodo piuttosto rozzo, basato sulla emissione e articolazione di vibrazioni nel mezzo aereo, in grado di veicolare un insieme piuttosto limitato di informazioni.

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