Valter Fraccaro, Presidente di Fondazione SAIHub, ente senese focalizzato sull’applicazione dell’Artificial Intelligence nel settore della Scienze della Vita.

Già dirigente dell’Università degli Studi di Padova e di diverse aziende italiane e internazionali, è advisor e formatore per società private, aziende pubbliche e università riguardo ai temi di progettazione, etica, design e sostenibilità dell’innovazione, con particolare riferimento all’Intelligenza Artificiale.

Sovente key speaker o moderatore in convegni e dibattiti, si occupa molto degli aspetti riguardanti l’impatto sociale ed economico del digitale, temi su cui pubblica regolarmente in Italia per  Econopoly (IlSole24Ore) e Agenda Digitale e, in Svizzera, per Innovando News.

 

Molti imprenditori conoscono l’AI principalmente attraverso strumenti come ChatGPT, ma quali sono le altre applicazioni pratiche e meno visibili dell’AI che possono trasformare i processi aziendali?

Si può approcciare l’argomento in diversi modi, ma ne propongo uno molto semplice: se esiste un problema cui non si è ancora trovata soluzione, allora merita provarci con l’AI.
Bisogna capire che con “AI” si intendono, non sempre giustamente, molti diversi approcci matematici alla risoluzione di problemi: alcuni mirano a migliorare funzioni già esistenti (ad esempio, automatizzandole o velocizzandole), altri a sostituire lavori ripetitivi (ad esempio, scrivere un testo che contenga certe informazioni), altri (e sono quelli di maggiore impatto) a risolvere questioni che la nostra mente non riesce ad affrontare per diversi motivi.
Nel primo caso rientrano, ad esempio, le applicazioni diagnostiche (tanto rivolte agli umani che alle macchine); nel secondo gli LLM, cioè gli strumenti che usano l’AI per creare testi; nel terzo, quelle applicazioni dell’AI che letteralmente scoprono quali elementi penalizzano una determinata fase dell’attività.
Le aziende che si occupano di AI generalmente si specializzano in una di queste aree, anche se ovviamente ci sono delle sovrapposizioni tra una e l’altra.

Quali sono i primi passi che un’azienda dovrebbe compiere per integrare l’AI nei suoi processi aziendali?

La prima cosa è immaginare quale dovrebbe essere il risultato ottimale di un singolo dipartimento, che sia la logistica, la produzione, il commerciale ecc. Poi evidenziare perché quel risultato non si ottiene: dove sono i limiti? Cosa impedisce che le cose vadano come si vorrebbe? A quel punto, si scoprirà che esistono temi, generalmente di processo, che non sono mai stati affrontati perché “troppo complessi” (in genere, ne fanno parte anche quelli che “si fanno così perché si è sempre fatto così”). Ecco, quelli sono gli ambiti in cui il confronto con chi di AI ha comprensione ed esperienza può davvero portare a soluzioni consistenti.

Come possono le piccole e medie imprese nel settore manifatturiero iniziare a integrare l’AI senza grandi investimenti iniziali?

L’AI non è un obbligo, né esistono ancora app pacchettizzate come accade per l’informatica cui siamo abituati. Partendo da quell’approccio che ho sommariamente descritto prima, una volta che si sia trovato un interlocutore affidabile (cosa non facile), si deve capire se esistono i dati da cui partire e senza i quali il denaro speso, poco o tanto che sia, sarà semplicemente buttato. Se esistono i presupposti detti, allora si valuta il ROI, come per ogni investimento. Chi dice all’imprenditore o al manager di avere il package pronto e magari a basso costo, difficilmente riesce a provarlo.

Quali sono i settori aziendali che traggono i maggiori benefici dall’implementazione dell’AI, e perché?

Ho visto un’azienda di commercializzazione di viti e bulloni aumentare dell’8% il proprio EBITDA grazie ad una soluzione di AI applicata ai loro ordini a fornitore: era semplicissima in sé, ma aveva richiesto l’identificazione di un aspetto del processo del tutto al di fuori della portata dell’esperienza umana. Quel punto fu identificato tramite tecniche di analisi matematica molto sofisticate, comprensibili a posteriori dalla nostra mente, ma che mai si sarebbero potute portare avanti senza l’AI.
Detto questo, non è tanto rilevante ciò di cui l’impresa si occupa quanto il margine di miglioramento dei suoi metodi, o meglio ancora della sua catena del valore. Si torna a quanto già detto: se non ci sono risultati ottimali in un comparto e non si trovano modi convenzionali per migliorarne il conseguimento, allora merita guardare all’AI come una possibile strategia di risoluzione, anche di quei fattori “invisibili” nelle loro motivazioni, come accadde per la società che ho appena ricordato.

Quali sono i principali rischi e sfide legati all’adozione dell’AI in azienda, e come si possono mitigare?

Ci vuole la mentalità appropriata e i dati che servono. Con “mentalità appropriata” intendo due cose: la prima è la disponibilità a non considerare già ottimo ciò che si fa; la seconda è smettere di credere, come capita spesso, che le risposte giuste siano tutte generate dalla pura esperienza e che quindi gli approcci matematici siano inutili. Se una cosa si impara portando avanti progetti di AI è che la matematica dispone di strumenti che vanno molto al di là del “senso comune”, e che proprio per quello possono portare a soluzioni che mai si sarebbero potuti immaginare (e men che meno realizzare) con una visione ordinaria di ciò che accade.
Non c’è niente da mitigare, c’è da aver voglia di guardare ai processi con un occhio diverso dal solito, quel solito che magari ha portato al successo imprenditoriale ma anche ai limiti operativi che si incontrano tutti i giorni e che intanto ci si è convinti non possano essere rimossi.

Quali sono le applicazioni emergenti dell’AI e come possono supportare la pianificazione strategica aziendale?

Va chiarita una cosa. L’AI assomiglia all’elettricità: è disponibile ma deve essere utilizzata tramite apparecchiature che la sfruttino. Oggi è come se avessimo l’elettricità che arriva negli edifici e le prese sul muro, ma non ci sono ancora gli elettrodomestici (le app semplici e disponibili, uguali per tutti e poco costose) e nemmeno le macchine utensili (le app complesse e personalizzabili). Siamo ancora in una fase in cui il successo si ottiene attraverso un progetto specifico. Esistono, diciamo così, dei semilavorati, ma senza un’analisi specifica e una realizzazione ad-hoc non è possibile avere degli usi dell’AI davvero in grado di cambiare i risultati imprenditoriali.

Quali sono i casi di successo di aziende che hanno implementato l’AI nella produzione?

Questa domanda richiede di definire bene il concetto di AI, perché talvolta si parla di AI solo perché esiste l’associazione di Big Data e potenza computazionale, che è un modo poco serio di descriverlo. Detto questo, devo un certo riserbo ai miei clienti, ma posso dire che nel campo della progettazione ingegneristica si stanno facendo progressi enormi tanto nello sviluppo di nuovi prodotti (da quelli commerciali alle grandi strutture industriali) quanto di miglioramento della qualità di ciò che viene realizzato. Pensare alla manifattura come a qualcosa di già ottimizzato perché il rapporto costo/prezzo è buono è una buona strada perché domani non lo sia più.
Ad esempio, fino a poco tempo fa la prototipazione era una cosa fisica, oggi può essere digitale, e questo succede già tanto nella moda che nella cantieristica o nell’architettura. In parte questo è legato ai progressi dell’informatica, per così dire, classica, ma il salto che si sta facendo grazie all’AI porta ad un nuovo livello tutto il processo di preventivazione – prototipazione – pianificazione – realizzazione.
Insomma, mentre l’informatica classica richiedeva che il programmatore descrivesse la soluzione affidandone l’esecuzione alla macchina, l’AI ha una caratteristica completamente diversa: può trovare autonomamente la via per giungere al risultato.
Questo non era mai accaduto prima nella storia dell’umanità e questo rappresenta proprio la caratteristica più utile dell’AI.

L’Intelligenza Artificiale non è una bacchetta magica, ma ha una caratteristica che nessuna altra tecnologia ha mai avuto prima nella storia della nostra specie: anche se non in ogni caso, può trovare autonomamente il modo per giungere al risultato ricercato.
E senza far uso di alcuna intelligenza, motivo per cui sarebbe il caso di usare “AI” come acronimo di “Agency without Intelligence”, come proposto da Luciano Floridi.